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I giovani – 30 Marzo 2023

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Continuo sulla mia…
via “reazionaria”. Non ne posso più di leggere articoli che si scagliano sulla “meritocrazia” nelle scuole (come in ogni altro settore). Semplicemente strabilio. Il “merito” è – per definizione – una battaglia identitaria della sinistra ed è uno dei fondamenti della costituzione. Educare i giovani allo sforzo individuale, premiare chi oltre a impegnarsi raggiunge un risultato (quanti di noi docenti si sono sentiti dire da uno studente somaro “ma io ho studiato”, come se fosse l’unico metro su cui basare il giudizio) é alla base del cosiddetto ascensore sociale che permette a tutti, anche ai più disagiati, di raggiungere risultati importanti nella vita. Il “mammismo” imperante (quello che porta ad aggredire i docenti che fanno il loro dovere di verificare la preparazione di un allievo), il giovanilismo a oltranza, la convinzione che quello che conta sia solo partecipare e non capire è alla base poi dei risultati insoddisfacenti che i tests invalsi (pur nei loro limiti) certificano. E gli studenti che rifiutano lo sforzo individuale sono poi quelli che arrivati all’università (italiana – si badi bene – con tutte le semplificazioni introdotte recentemente) abbandonano perchè il vaglio è impietoso e la delusione di non essere più coccolati da un sistema che anzichè valorizzarli finisce con il deprimerli è insopportabile. Altri tempi – si dirà – ma la mia esperienza personale è stata che non mi sono dimenticato l’impegno che ho dovuto profondere negli studi (nel mio caso doppio) ma non sono certo deceduto, ho condotto una vita da adolescente e giovane con spazi di libertà e ludici e non posso che ringraziare una famiglia nella quale i risultati positivi venivano valutati con la frase “hai fatto la parte del tuo dovere”.  Come docente universitario mi sono impegnato ad aiutare gli studenti ad apprendere ma poi sono stato severo e inflessibile al tempo degli esami per un principio inderogabile di equità e perchè lo stato italiano mi ha pagato per certificare la preparazione degli sudenti e non per fare l’infermiere di chi scambiava l’università per un club ricreativo. Naturalmente la comprensione, l’aiuto psicologico etc. etc. sono tutti strumenti di ausilio meritevoli ma poi non può mancare il momento della verifica (nome che ha ora sostituito la storica “interrogazione” nel parlato della scuola). Per chi – come me – si sente un animo di sinistra e crede nei principi di equità, giustizia e uguaglianza finisce per essere insopportabile l’attenzione che è data alla scuola solo in termini di semplificazione che alla fine è solo discriminatoria e disincentivante verso chi invece si impegna seriamente valorizzando gli obiettivi che la scuola dovrebbe avere come faro ultimo.
(Giovanni  Neri – 77)
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2 risposte a "I giovani – 30 Marzo 2023"

  1. Rambomax ha detto:

    Quello che si rischia di fraintendere, al momento di confrontare la scuola di una sessantina di anni fa con quella di adesso, è il modo in cui la società intende i rapporti con le istituzioni scolastiche. Rispetto al passato è sicuramente aumentato moltissimo il numero di studenti, in seguito a due fatti paralleli ed entrambi positivi: uno è l’aumentato benessere, che consente a molte famiglie di far studiare i figli; l’altro è la modifica degli ordinamenti scolastici introdotta negli anni ’60. Per intenderci, prima dell’istituzione della scuola media unica il destino di una persona veniva segnato all’età di 11 anni: smettere di studiare, iscriversi alla scuola di avviamento professionale, oppure tentare l’esame di ammissione alla scuola media (quest’ultima era l’unico corso di studi che permetteva l’accesso alla scuola media superiore); ancora, se uno completava la scuola media un’altra fetta del suo destino si decideva a 14 anni: chi s’iscriveva al liceo classico poteva poi accedere a qualunque corso di laurea, chi s’iscriveva a quello scientifico poteva accedere solo ai corsi di laurea scientifici, chi s’iscriveva a una scuola tecnica l’Università se la sognava. Negli anni ’60, questi vincoli francamente assurdi furono aboliti.
    Se la popolazione scolastica è molto aumentata, non credo affatto che la distribuzione della qualità degli studenti sia cambiata, come pure quella dei docenti. Le mutazioni antropologiche richiedono periodi ben più lunghi per manifestarsi. Se attingo a ricordi personali, nella classe che frequentavo all’ultimo anno della scuola superiore c’erano fior di analfabeti, che hanno regolarmente ottenuto il diploma, e nel corso di laurea che ho frequentato dopo c’era di nuovo una buona percentuale di analfabeti, che hanno regolarmente ottenuto la laurea. Stessa cosa per il corpo docente, sia nella scuola che nel corso di laurea: c’erano persone ammirevoli, come cultura e comportamento, e fior di tangheri.
    Allora, cosa è cambiato? Credo che ciò che è cambiato sia la percezione della scuola come ascensore sociale, nel senso che forse non lo è più come lo era nel passato. Se uno la vede così allora conclude che, se la scuola va frequentata, che lo sia col minor sforzo possibile e senza tante seccature; molte famiglie sono d’accordo con questo punto di vista, e parteggiano per i figli in ogni situazione di difficoltà o di contrasto con l’istituzione. Nel passato, invece, le famiglie erano sempre d’accordo con gl’insegnanti sia per le questioni di scarso profitto che per quelle disciplinari, perché erano terrorizzate dal fatto che le insufficienze o i comportamenti sanzionabili potessero alla fine interrompere il percorso scolastico; e allora, come si usava dire, “se non finisci la scuola vai a lavorare in miniera”. Grazie anche a questo complicità delle famiglie, la scuola di una volta era insopportabilmente autoritaria, diciamo pure una vera schifezza: mettendo insieme l’autoritarismo col fatto che gli analfabeti comunque andavano avanti lo stesso, e magari ce li ritrovavamo anni dopo a fare i politici, non c’era da stare allegri…

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    • Gtrazie dell’articolato commento. Avevo scritto un bella replica che è sparita. Ma tornerò sull’argomento ammettendo che sono un nostalgico di quella che era una “schifezza” (certamente in certe sue articolazioni minoritarie tale, ma “minoritarie”…) ma alla quale debbo una larga parta della mia sensibilità culturale alla quale sono molto affezionato. I genitori chioccia sono -a mio giudizio – una calamità e sono tali – forse – perchè figli di altre chioccie. Quando si sia invertito il trend non saprei ma è certo che c’è stato e il risultato è che anche per questo motivo le disparità sociali sono aumentate in assenza dell’ascensore. E forse bisognerebbe ricordare che nelle migliori scuole internazionali vigono regolamenti rigidi e non manfrine all’acqua di rosa. Giusto? Sbagliato? La mia opinione è chiara e alle regole non scritte della serietà mi sono iscritto da tempi immemori e non ho alcun rimpianto in materia (anche perchè questo è un merito – nella attività lavorative – che tutti mi hanno sempre riconosciuto e che trova le sue radici anche nella mia esperienza scolastica in ogni ordine). Alla prossima puntata perchè l’argomento – non trattato da demagoghi o ignoranti – merita.

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